lunedì 3 novembre 2025

COME FAR NASCERE UNA ROSA DAL SEME

È iniziato l’autunno, le giornate si stanno inesorabilmente accorciando, ma il tempo può permetterci ancora qualche giro in bicicletta o una passeggiata a piedi.

Ai miei aspiranti “rose-lovers” svelo come gettarsi nella piú inimmaginabile delle esperienze: far nascere una rosa dal seme.

A questo punto il vostro stupore sarà salito alle stelle. Normale se vi chiedete: perchè, le rose fanno i semi? Non li ho mai visti…

Ebbene sí, le rose fanno i semi, e si chiamano achéni. Infatti, come per tutte le piante, pure le rose nascono dai semi, anche se i normali metodi di riproduzione commerciali sono la talea e l’innesto.

Se, quando una rosa è sfiorita, la si lascia sulla pianta, un po’ alla volta il fiore si secca, perde tutti i petali, e l’ovario del fiore inizia ad ingrossare. Lí dentro si vanno formando i semi. L’ovario diventa una bacca (chiamata cinòrrodo) che, una volta matura, sará rossa, arancione o bruna, a seconda della specie.

Quello che vi suggerisco è di raccogliere, nelle vostre uscite in bici o a piedi, i cinorrodi che trovate sulle rose (nei giardini di amici, nei giardini pubblici, lungo strade di campagna…). I cinorrodi possono avere diverse forme: sferica, a fiaschetto, allungata, oppure possono sembrare piccolissime palline rosse o arancioni.

In questa stagione sono sicuramente maturi, perció vedremo insieme come far nascere le rose dai semi contenuti nei cinorrodi che porterete a casa.

In botanica, il cinorrodo viene considerato un “falso frutto”, in quanto i veri frutti sono gli acheni.



Io procedo così: trovatevi uno spazio su cui poter lavorare, un tavolo ad esempio, e copritelo con un foglio di carta da giornale per poter poi pulire tutto più in fretta. Munitevi di un paio di cesoie.

Prendete i cinorrodi che avete raccolto e apriteli pian piano con le cesoie. Tenete presente che la quantità di acheni può variare da cinorrodo a cinorrodo: alcuni ne hanno 1 solo, altri diverse decine.

Io procedo tagliando il cinorrodo proprio a metà: probabilmente un achenio o due ne risulteranno rovinati, questi li potete buttare. Ora dovete staccare tutti gli acheni dalla polpa del cinorrodo, aiutatevi pure con la punta delle cesoie. Gli acheni dovrebbero essere molto chiari e scurire all’aria. A volte ci possono essere acheni che sporgevano dal cinorrodo, in alto, e questi saranno già scuri.

Gli acheni “buoni” sono molto duri perché legnosi. Se vi risultano degli acheni morbidi (provate a stringerli tra due unghie) potete già eliminarli, perché non maturi.

All’interno dello stesso cinorrodo possono esserci acheni ben formati (li vedete nelle foto) e altri più piccoli, perché non sviluppati. Questi ultimi sono inutili.

Una volta aperti tutti i cinorrodi e staccati gli acheni (attenzione a non lasciare nemmeno un pezzettino di polpa di cinorrodo attaccata ai semi) possiamo passare a lavarli. Mentre li laviamo possiamo fare anche una prima prova sull’eventuale “bontà” dei semi, anche se non è una prova definitiva.

In una bacinella o comunque un contenitore aggiungete all’acqua un po’ di bicarbonato o di varechina, e immergete gli acheni. Questo lavaggio serve a evitare che si formino muffe e batteri sulla superficie dei semi. Possiamo poi fare una prima cernita, in quanto, secondo una regola generale, i semi che galleggiano non sono fecondi e si possono buttare (anche se non è una regola valida al 100%; quindi chi vuole può tenerli anche tutti).

Lasciate asciugare gli acheni all’aria, magari sopra un asciugamano.

Preparate intanto un contenitore da frigor, alto al massimo 5-6 cm.; per la grandezza dovrete giudicare voi, dal numero degli acheni che avete ricavato. Se avete dei contenitori piccoli ne potrete usare anche diversi. Gli acheni dovranno stare leggermente separati gli uni dagli altri, sopra uno strato di scottex umido (umido e non bagnato, 2-3 fogli circa – vedi la foto).

E li dovrete mettere in frigorifero. Questa operazione si chiama “vernalizzazione”. Perchè dobbiamo sottoporre gli acheni alla vernalizzazione?

Perchè sulla loro superficie, così dura e legnosa, è presente una proteina che non permette agli acheni di schiudersi quando si trovano a temperatura ambiente; questa proteina si “scioglie” solo facendo trascorrere ai semi un periodo in frigorifero superiore alle tre settimane. Se si è fortunati, dopo tre settimane potrete anche vedere spuntare una “codina” bianchiccia dai vostri semi, ma solo i più precoci si muoveranno così presto. In media occorrono 4-8 settimane perchè gli acheni germoglino, e a volte anche di più.

Può capitare che durante la permanenza in frigorifero, sopra alla carta umida, attorno ai semi un po’ di muffa si formi ugualmente, nel qual caso potete tranquillamente lavare di nuovo i semi e poi risistemarli in frigorifero.

Passate almeno tre settimane dal posizionamento in frigorifero, potete iniziare a controllare, ogni due-tre giorni, i vostri acheni, in cerca di una "codina" che poi sarà la prima radichetta della vostra nuova rosa. Nella foto i miei acheni germogliati mostrano tracce di terriccio perchè invece della carta scottex io ora uso bustine di plastica ripiene di terriccio umido. Il metodo del contenitore con la carta scottex ha però il vantaggio di permettere un immediato riconoscimento degli acheni germinati.

Procuratevi nel frattempo dei bicchierini - in plastica o cartone biodegradabile - per caffè. Fate due-tre buchi sul fondo (per quelli in plastica potete usare un chiodino arroventato).

Riempiteli di terriccio umido (umido, non bagnato). Se possibile, non usate il terriccio che si trova nella grande distribuzione (supermercati) a costi irrisori: di solito è robaccia,  e le piante ne risentono. Il terriccio migliore è quello di marca VIGOR PLANT, per travasi. Si puó acquistare online ma ci sono anche rivenditori in tutta Italia, su internet trovate tutte le info del caso.

Con una matita, usando la parte senza punta, fate un buco profondo circa 2 cm. nel terriccio, lasciate cadere l'achenio germinato, possibilmente con la radichetta verso il basso, e ricoprite con un po' di terriccio. 

Ora la cosa migliore sarebbe di mettere i vostri vasetti in una serra fuori, ma riscaldata. Occorre usare una stufetta elettrica collegata ad un termostato impostato sui 13°C circa. Anche questo tipo di termostato si può acquistare online. Io tengo le serre sul mio balcone, dove sono un po' riparate ma comunque all'esterno.

Un anno ho provato a tenere i vasetti in casa, in una stanza non troppo riscaldata, però ho avuto una percentuale molto alta di decessi tra le piantine. Dal chè ho dedotto che la cosa migliore è che prendano la luce diretta del sole dentro ad una serra esterna.

Ogni tanto controllate l'umidità del terriccio nei vasetti, se occorre bagnate con uno spruzzino.

Le piantine cresceranno in fretta e in aprile faranno già il primo fiore. E' la vostra rosa, unica e irripetibile: siatene orgogliosi!

venerdì 29 agosto 2025

LE ROSE CINESI

Sempre avendo sottomano il preziosissimo volume "Sulle tracce di una rosa perduta" di Andrea di Robilant, tratto oggi l'argomento delle rose cinesi in generale, anche se ne ho già parlato in passato in questo post.

La Cina è da sempre la terra delle rose: delle circa duecento specie che conosciamo, almeno una buona metà sono originarie di questa terra. Quando i mercanti europei raggiunsero il lontano Oriente, i cinesi coltivavano e ibridavano le rose già da duemila anni.

E' probabile che alcune rose cinesi siano arrivate in Europa prima del Settecento grazie ai monaci che avevano viaggiato in oriente. Charles Chamberlain Hurst, genetista e ibridatore della prima metà del ventesimo secolo, era convinto, ad esempio, che una cinese rifiorente rosa pallido fosse presente in Italia già nel Rinascimento. Hurst basava la sua convinzione su un celebre dipinto del Bronzino l' "Allegoria del trionfo di Venere", dove un putto sorride divertito mentre si appresta a cospargere Venere con un pugno di petali di rose e Cupido la bacia sulle labbra (vedi particolare sotto).









Hurst affermava che "i piccoli fiori rosa con petali traslucidi, stami incurvati, sepali reflessi e piccole foglie ben salde, ovali e lucenti corrispondono precisamente a quelli della Pink China". Non è chiaro come Hurst potesse esserne così sicuro, e comunque un quadro non basta a identificare scientificamente una pianta.

Più interessante è l'annotazione che Michel de Montaigne riportò nel suo diario di viaggio in italia nel 1581. Giunto a Ferrara, si era fatto accompagnare in un monastero dove i monaci Gesuati (da non confondersi con i più famosi Gesuiti) gli mostrarono orgogliosi una rosa rifiorente. "La pianta fiorisce ogni mese dell'anno", scriveva Montaigne entusiasta. Purtroppo Montaigne non descrive né il colore nè la fragranza, ma la rosa era quasi certamente una cinese, perchè in quell'epoca nessuna rosa europea fioriva tutto l'anno.













Questi primi esemplari, tuttavia, arrivarono in Europa in maniera casuale e sporadica, senza lasciare segni sulla floricultura locale. Solo a partire dalla metà del Settecento, quando botanici, vivaisti e ibridatori "scoprirono" la rosa cinese, il suo potenziale fu finalmente chiarito. 

Linneo, il grande botanico svedese, catalogò per primo una cinese rifiorente: gliela portò a Uppsala uno dei suoi allievi, Pehr Osbeck, di ritorno da un viaggio a Canton nel 1752. Linneo la chiamò R. Indica (perchè arrivava dall'India, dove le rose sostavano prima di essere imbarcate per l'Europa, ma in realtà proveniva dalla Cina).











Nei decenni successivi ne arrivarono molte altre, tanto da rivoluzionare i vivai europei con nuovi colori, profumi e soprattutto con la rifiorenza. Nacquero così le rose tea, le ibride perpetue e tutte le loro successive progenie, tra cui le infinite varietà di ibride di tea di oggi.

Ma l'interesse degli ibridatori si concentrò soprattutto su quattro rose cinesi d'allevamento, le cosiddette "Stud Chinas", che trasformarono il mondo delle rose noto agli europei fino ad allora:

- Slater's Crimson China

- Parson's Pink China (in seguito Old Blush)

- Hume's Blush Tea-Scented China

- Parks' Yellow Tea-Scented China (estinta, anche se una omonima è messa in commercio da Peter Beales).


SLATER'S CRIMSON CHINA











Nel 1792 un vivaista di Knotts Green, vicino a Leyton, tale Gilbert Slater, ottenne per la prima volta una rosa rosso cremisi denso e scuro che in Cina veniva chiamata "Yue Yue Hong" = cremisi ogni mese. Per gli europei era una novità assoluta: a sorprendere Slater nell’incontro con questa pianta infatti non fu solo la continua fioritura, ma anche il colore: rosso cremisi, tinta mai vista nelle rose Europee. Dopo qualche anno dal suo arrivo in Europa, la rosa di Slater si era già diffusa in Francia, Austria e Italia, diventando l'antenata di molte rose rosse dei nostri giorni.

PARSON'S PINK CHINA


Più o meno nello stesso periodo, un giovane diplomatico inglese, John Staunton, che viaggiava in Cina come segretario dell'ambasciatore Lord Macartney, trovò nei vivai di Canton una bellissima rifiorente color rosa argento. Pensò bene di spedirla al direttore dei Royal Botanic Gardens a Kew, Sir Joseph Banks. Un anno doppo, nel 1793, un certo Parsons, che aveva probabilmente ottenuto una talea da Banks, la piantò con successo nel suo giardino di Rickmansworth, nello Hertfordshire. La rosa venne chiamata Parson's Pink China e in seguito ribattezzata Old Blush.

HUME'S BLUSH TEA-SCENTED CHINA











La terza delle Stud Chinas sbarcò in Inghilterra una quindicina di anni dopo. Nel 1809 Sir Abraham Hume importò una varietà di un rosa pallido con un lieve profumo di tè (R. indica odorata). La rosa aveva suscitato in Joséphine Bonaparte un tale entusiasmo che si era adoperata in ogni modo perchè un esemplare arrivasse alla Malmaison nonostante il blocco continentale imposto da napoleone. La Hume's Blush, insieme ad altre nuove varietà, fu poi incrociata con le vecchie rose europee, dando vita alla grande famiglia delle Tea.

PARK'S YELLOW TEA-SCENTED CHINA














(R. indica sulphurea). E' stata l'ultima a giungere in Inghilterra, nel 1824 grazie a John Damper Parks per conto della Royal Horticultural Society. Era gialla e dal profumo delicato. Oggi è considerata estinta, ma è pur sempre ll'antenata delle tea gialle ancora molto diffuse oggi.

Tutte e quattro le Stud Chinas erano antiche varietà d'allevamento, probabili incroci tra l'antica rosa cinese (R. chinensis) e la R. Gigantea, molto diffusa nella Cina meridionale e nota come rosa gigante per i suoi grandi petali e per la capacità di arrampicarsi fino a dieci-dodici metri.

lunedì 25 agosto 2025

LA STORIA DELLA ROSA MOCENIGA



(foto dalla mia
pagina dedicata alla rosa Moceniga)

Da qualche anno in qua la rosa cinese Moceniga ha goduto di una aumentata popolarità. La sua storia è briosamente raccontata da Andrea di Robilant nel suo libro "Sulle tracce di una rosa perduta". (In questo post riporto parti del libro).

Quando io sono venuta a conoscenza dell'esistenza della Moceniga, questo libro era fuori catalogo, ma sono riuscita comunque a farmi un'idea abbastanza precisa della storia di questa rosa tramite internet. Una volta venuta in possesso di una talea di Moceniga, ho potuto a mia volta duplicarla e ne ho regalato un esemplare ad una cara amica che per riconoscenza mi ha regalato il libro di Robilant, che nel frattempo era stato ristampato.

E ora, libro alla mano, sono in grado di raccontare con maggior precisione la storia della rosa Moceniga.

Tutto ha inizio ad Alvisopoli (VE), un paese "inventato" alla fine del Settecento dal nobile Alvise Mocenigo.










Alvise aveva bonificato una vasta zona di terre paludose appartenenti alla sua famiglia, costruendovi successivamente una comunità agricola e manifatturiera modello, praticamente autosufficiente: case per i contadini, una struttura sanitaria, una scuola e un istituto tecnico d'avanguardia. E come ciliegina sulla torta, a questo paese volle dare il suo nome: Alvisopoli appunto. Durante il periodo napoleonico il paese vide il momento di maggior fioritura, anche se dopo la morte di Alvise pian piano il progetto sfiorì e Alvisopoli divenne un'azienda agricola come tante. Successivamente la famiglia non potè più farsene carico, la terra fu venduta e il paese fu lasciato a se stesso. Solo verso la metà degli anni Ottanta l'ATER di Venezia decise di convertire la villa e gli annessi in case popolari. In una di queste abita Benito Dalla Via con la moglie Giuditta, dalla quale ho acquistato la talea di Moceniga.

Alvise Mocenigo era il quadrisnonno di Andrea di Robilant, il quale, in un viaggio alla ricerca delle sue radici alvisopoliane, conobbe Benito e la rosa Moceniga.

Benito mostrò ad Andrea la rosa che era stata ritrovata nel bosco abbandonato della villa. Ce n'erano diversi arbusti, tutti in fiore nel momento in cui Andrea li vide. Nel libro la descrive così: "Presi in mano una rosa e la osservai attentamente. Aveva un diametro di cinque o sei centimetri. Era di un rosa argentato con leggere venature. I petali, molto chiari al centro, diventavano sempre più colorati verso le estremità, e si staccavano e cadevano al suolo appena li toccavi. Il profumo era forte e molto fruttato. Faceva pensare all'odore di lapone e pesca".

La domanda era: come era finita ad Alvisopoli quella rosa?

Tramite ricerche negli archivi di famiglia, Andrea di Robilant ricostruisce la storia.

La moglie di Alvise Mocenigo, Lucia chiamata da tutti Lucietta, nel 1813 era andata a vivere a Parigi per stare vicina al figlio, Alvisetto, che frequentava un liceo parigino (Napoleone pretendeva che le personalità di spicco nei suoi domini europei mandasero i loro figli maschi a studiare in Francia).











Lucietta (ritratto sopra) conosceva Joséphine, allora già ex-imperatrice, che dopo il divorzio abitava nel castello della Malmaison. Lucietta e Joséphine si erano conosciute nel 1797 a Venezia poco dopo la caduta della Repubblica e l'arrivo dei francesi.

Lucietta si recava spesso alla Malmaison. Joséphine era un'appassionata di piante di ogni genere, per cui il parco e le serre erano piene di specie esotiche, tra cui eriche, piante grasse e pelargonie. Ma la vera passione di Joséphine erano le rose, per le quali aveva sviluppato una vera e propria ossessione. Joséphine aveva mezzi illimitati a disposizione ed era capace di tutto pur di procurarsi una rosa rara che ancora non possedeva. 

Il suo fornitore principale era André Dupont (ne ho parlato qui), ma ordinava rose anche all'estero. Joséphine era particolarmente ansiosa di mettere le mani sulle favolose rose che dalla Cina arrivavano in Inghilterra passando da Calcutta, dove le piante venivano fatte riposare in grandi vivai della British East India Company prima di affrontare il lungo viaggio verso l'Europa. Gli inglesi avevano il monopolio dell'importazione di piante dalla Cina, mentre i francesi ne erano stati esclusi causa la bancarotta della Compagnie des Indes. Ciò non impediva a Joséphine di ottenere ciò che desiderava, infatti ottenne vari nullaosta per ricevere piante e semi dall'Inghilterra anche durante il blocco continentale voluto da Napoleone.

Lucietta non aveva lo spirito della collezionista, ma in compagnia di Joséphine sviluppò un interesse per la botanica che non aveva mai mostrato. Fu presentata a René Desfontaines, decano della cattedra di botanica al Jardin des Plantes, e frequentò le sue lezioni. Il capogiardiniere André Thouin le impartiva inoltre lezioni private su come mettere le piante a dimora, sulla preparazione di fertilizzanti  naturali e sulle tecniche di potatura. Da Monsieur Dupont invece, Lucietta imparò l'arte dell'innesto. Spesso poi Lucietta si fermava al vivaio di Louis Noisette in rue du Faubourg-Saint-Jacques. Era lo stesso Noisette che qualche anno dopo avrebbe dato vita, con il fratello Philippe, ad un'intera famiglia di rose che portano il loro cognome (vedi il mio post dedicato).

Nella primavera del 1814 l'impero di Napoleone crollò e Alessandro I di Russia occupò Parigi alla testa delle forze alleate. A questo punto non c'era più alcun motivo di tenere Alvisetto in un liceo francese, per cui alla fine di agosto del 1814 Lucietta lasciò Parigi portando con sè una ricchissima collezione che includeva semi, talee e piccole piante di rose, fornite anche da Noisette. La Moceniga era quasi certamente una di quelle che Lucietta riportò da Parigi.

Ma torniamo ai nostri giorni.

La tenuta dei Mocenigo andò in rovina e la villa fu convertita in case popolari. Negli anni Ottanta un giovane studente di scienze forestali dell'Università di Padova, Ivo Simonella (sotto: foto recente), si interessò al bosco di Alvisopoli incuriosito dalla ricchezza e varietà di piante. Scrisse la sua tesi di laurea proprio sugli alberi del parco di Alvisopoli, e convinse il direttore dell'ATER che valeva la pena spendere qualche soldo per sfoltire il bosco e ripulire i canali: il WWF della zona accettò di gestire il parco e di farne uno spazio pubblico. Ciò durò per qualche anno, finchè i fondi si prosciugarono e il WWF fu costretto a rinunciare al progetto. Simonella racconta: "Successe tutto piuttosto in fretta. Un giorno chiusi a chiave il cancello che portava al bosco e me ne andai. Lasciai le chiavi a Benito; avendo lavorato tutta la vita come portiere d'albergo, avrebbe certo saputo cosa farne".











Ma durante il periodo in cui si occupò del bosco, Simonella conobbe un architetto paesaggista della zona di nome Paolo De Rocco. De Rocco aveva il pallino delle rose antiche e fu lui a segnalare a Simonella la presenza della rosa Moceniga.

Osservando la forma del fiore e il portamento dell'arbusto, De Rocco aveva concluso che doveva trattarsi di una rosa cinese di una certa importanza. La associò subito alla "Old Blush", rosa cinese presente in Europa a partire dal 1793, originariamente con il nome di "Parson's Pink China". Oggi la Old Blush è comune in tutto il mondo, ed è molto prolifica in Veneto e Fiuli. 

A prima vista la Moceniga e la Old Blush sembrano uguali: i fiori hanno lo stesso colore, la forma dell'arbusto e il portamento sono anch'essi simili. Le foglie sono di un identico verde, le spine rade e opache. Ma osservandole da vicino, De Rocco notò delle differenze: la Moceniga aveva meno petali, e la forma del fiore era più slabbrata. Le foglie erano più ruvide al tatto, più opache. E poi il profumo: blando quello della Old Blush, intenso e fruttato quello della Moceniga.

De Rocco non giunse mai ad una soluzione sulla questione dell'identità della Moceniga, in quanto purtroppo morì prima. Ma Andrea di Robilant venne a conoscenza delle sue ricerche, e decise di far esaminare le due rose (Old Blush e Moceniga) in laboratorio. Si rivolse a Stefano Mancuso, professore di scienze botaniche all'Università di Firenze, il quale propose un esame con il metodo ANN (Artificial Neural Network), in questo caso più efficace e risolutivo dell'esame del dna. Per l'esame servivano le foglie di entrambe le piante, per sottoporle ad un esame comparativo che teneva conto di diciotto parametri morfologici (area, perimetro, rotondità, compattezza, lunghezza assiale, pigmentazione ecc.). Le foglie sarebbero state scannerizzate e i dati analizzati attraverso complicati logaritmi.

Dopo una settimana, arrivò la risposta di Mancuso: "Ti confermo che le due rose sono diverse. Se una delle rose è una Old Blush, allora l'altra certamente non lo è. Di più non posso dirti". Mancuso aveva visto giusto.

A questo punto si era scoperto "cosa non era" la Moceniga. Ma ulteriori ricerche non hanno portato alla scoperta del nome originale della rosa che Lucietta portò a casa da Parigi, probabilmente dal vivaio di Noisette. Purtroppo Noisette aveva la cattiva abitudine di annotare il nome delle sue rose senza aggiungerne le caratteristiche. I suoi cataloghi esistono ancora, ma non è possibile rintracciare una rosa particolare fra le migliaia di nomi dei suoi elenchi.

Alla fine di Robilant decise di registrare il nome della Moceniga. Scrisse a Marily Williams, copresidente dell'American Rose Society, l'organizzazione che gestisce il registro ufficiale delle rose per conto dell'International Cultivar Registration Authority (ICRA). La sua prima risposta fu però negativa:

"La rosa rientra nella categoria che noi chiamiamo rose «ritrovate». Queste rose non possono essere registrate ufficialmente perchè, anche se lei non è finora riuscito a identificarla, non possiamo escludere che non ci siano da qualche parte documenti che permettano di farlo".

In seguito, aggiornata sulle ulteriori ricerche di Robilant, la signora Williams scrisse finalmente così:

"Caro Andrea, mi sembra di capire che lei abbia fatto delle serie ricerche, senza tuttavia arrivare a un buon esito per quanto riguarda l'identificazione della sua rosa. In tali circostanze non dovremmo procedere alla registrazione di tale rosa, ma ritengo che il suo caso sia insolito. Per cui ho deciso di appoggiare la registrazione del suo cultivar."

Il nome registrato è "Moceniga" (non Rosa Moceniga, in quanto il nome di un cultivar non può includere il nome del genere, in questo caso Rosa).

Sono fortunata ad avere questa rosa nel mio roseto: la considero la regina del mio giardino, in quanto è la prima a fiorire (già a marzo) e questa prima fioritura è molto prolungata, spettacolare. Ed è pure l'ultima a fiorire, fino a novembre.














Posso testimoniare che si riproduce facilmente tramite talea, infatti ne ho diverse piante pronte se qualcuno decide di volerla.

venerdì 8 agosto 2025

QUANDO LE ROSE ANTICHE RISCHIARONO DI SCOMPARIRE

In questo periodo vacanziero, in cui il caldo la fa da padrone, e in seguito ad alcuni incontri con persone del mondo delle rose, ho ritirato fuori un prezioso libro che mi pare sia di nuovo fuori stampa: "Sulle tracce di una rosa perduta", di Andrea di Robilant, in cui viene narrata la storia della rosa Moceniga. 

Il volumetto mi è stato regalato da una carissima amica, la quale conosceva la rosa Moceniga solo per aver letto questo libro, ma non l'aveva mai vista. Questa signora si è però innamorata della linea di profumi basata sull'essenza della rosa Moceniga, di una importante azienda veneziana. E quando per caso è venuta a sapere che io mi ero procurata la Moceniga, mi ha contattato: io le ho regalato la rosa, e lei il libro.















L'autore, Andrea di Robilant, non si sofferma solo sulla sua personale ricerca per scoprire le origini della Moceniga, ma narra i suoi incontri con esperti mondiali di rose, con illustri botanici e semplici appassionati, del passato e del presente, attraverso i quali scoprirà e farà conoscere a noi lettori aneddoti e segreti, notizie scientifiche e tecniche di giardinaggio. Un volumetto prezioso, quindi, da rileggere spesso.

Generalmente parlando, la moda va a onde: le tendenze cambiano ma si ripetono nel tempo. Questo avviene perchè le tendenze seguono un ciclo: nascono, raggiungono il picco di popolarità e poi declinano, per poi eventualmente tornare di moda in futuro.

Anche nel settore delle rose ciò avviene. Le rose antiche, che per forza di cose, furono per secoli le padrone indiscusse nel mondo della rodologia, rischiarono letteralmente di scomparire all'inizio del Novecento. Cioè quando orde di rose rifiorenti e dai colori sgargianti invasero letteralmente il mercato - scrive Robilant nel suo libro.

Nessuno voleva più le rose antiche. I vivaisti non le mettevano neanche più in catalogo e pian piano cessarono di coltivarle. Un patrimonio di secoli andò perduto nel giro di pochi anni. E se alcune varietà sono miracolosamente sopravvissute lo si deve a un pugno di devoti amatori.

Vediamo alcune storie.

Graham Stuart Thomas, il grande esperto inglese di rose antiche nonchè creatore di meravigliosi giardini, fu il principale artefice del revival della rosa antica negli anni Settanta. 









Aveva cominciato a interessarsi di botanica quarant'anni prima lavorando come apprendista giardiniere al Botanic Garden di Cambridge. In quel periodo non aveva alcuna conoscenza particolare delle rose antiche. Anzi, provava "quasi una repulsione" per i colori porpora e rosa-malva delle poche varietà che aveva osservato nei suoi primi vagabondaggi tra i giardini inglesi e irlandesi. Certo non si preoccupava dell'oblio in cui stava svanendo il mondo delle rose antiche. O comunque non ancora.

Esisteva in quegli anni un'ultima grande collezione privata di rose antiche, messa insieme tra le due guerre da Edward Bunyard, uomo di gusto e di cultura, grandissimo giardiniere e noto per essere il maggior pomologo del Regno Unito. 











Le sue rose furono messe all'asta dopo il suo suicidio, nel 1939. Sembrò davvero la fine di un mondo. Qualche giorno prima dell'asta, però, il giovane Thomas fu mandato dai suoi superiori a vedere la collezione. Rimase incantato "dal tesoro che quell'uomo illuminato aveva accumulato" e si scatenò in lui una passione che durò per tutta la vita.

Così negli anni immediatamente successivi, malgrado fosse assai difficile viaggiare in Inghilterra per via della guerra, Thomas riuscì comunque a mettere insieme la sua piccola collezione di rose antiche.

La collezione venne notata da Constance Spry, indiscussa regina del buono gusto british negli anni Quaranta e Cinquanta. Aveva lavorato come assistente sociale nei bassifondi di Londra prima di fare la fioraia e trasformarsi  nella Martha Stewart del dopoguerra. Nella vita privata il suo grande amore erano proprio le rose antiche, che coltivava nella sua bella casa di campagna. 










Fu molto prodiga di consigli a Thomas. E quando, ormai anziana, volle disfarsi della sua collezione, la signora Spry si affidò al suo giovane amico. Constance morì nel 1960 e già nel 1961 Stuart Thomas, con l'amico vivaista e ibridatore David Austin, introdusse la "Constance Spry", la prima e più famosa delle English Roses. Ma le rose inglesi sono un'altra storia (ricordiamo che David Austin ha dedicato una sua rosa, la Graham Thomas appunto, al suo grande amico).

Dopo la guerra, Thomas si avventurò sempre più lontano, fin nello Yorkshire, per trovare altre rose antiche. Ad aiutarlo e incoraggiarlo furono i pochi grandi amanti di quelle rose ancora rimasti, come Vita Sackville West a Sissinghurst e Sacheverell Sitwell a Weston Hall. 

(A Vita Sackville West ho dedicato in passato due post, qui e qui).

Nel 1948 Stuart Thomas aveva già la più importante collezione di rose antiche al mondo, con esemplari provenienti da Francia, Germania e Stati Uniti.

Oggi se ne occupa il National Trust, e la si può visitare nel giardino murato di Mottisfont Abbey, nello Hampshire, progettato dallo stesso Thomas (sotto, alcune immagini).






venerdì 18 luglio 2025

UNA ARTISTA GIOVANISSIMA

La cara amica A.M. mi ha scritto un post che dimostra la sua grande sensibilità e umanità, e lo vorrei condividere con voi in quanto tratta, anche se in maniera trasversale, le rose:


    Ciao Valentina, ti scrivo per condividere una emozione grande, legata alle rose e all' Arte

    Tempo fa ho visitato una mostra di pittura organizzata da un centro diurno per disabili, che utilizza la creazione artistica come mezzo espressivo per per coloro che non riescono a comunicare nei canali canonici.

    Mi hanno colpito in particolare le opere di un' artista giovanissima, Valentina Castelli, di soli 12 anni.

    Una forza espressiva esplosiva, un mondo incantato ma profondamente vero, archetipico.

    Valentina a parole dice poco, non ha contatto visivo ma ha un mondo interiore fantastico.

    Ti mando la foto di un suo quadro a tema rose che mi ha commosso.

    Le rose sono riportate alla loro essenza, con pochi tratti, sembrano cullate dalla terra verde ed il sole sembra volerle abbracciare.

    Valuta tu se pubblicare, non c'è nessun motivo pubblicitario nella mia richiesta, solo la volontà di condividere la gioia che può trasmettere questa ragazza straordinaria.



ROSE E ARTE. IL CICLO DELLA "BRIAR ROSE" - LA ROSA SELVATICA

Qual è il quadro con più rose dipinte? 

Un candidato potrebbe essere il ciclo "La Rosa Briar" del grande artista preraffaellita Burne-Jones, che si può ammirare a Buscot Park nell'Oxfordshire, una proprietà che è appartenuta alla mia famiglia per molti anni e ora appartiene al National Trust.















Si tratta in realtà di una serie di dipinti che raffigurano la leggenda della Bella Addormentata. I dipinti non presentano una storia sequenziale, ma piuttosto catturano un momento nel tempo. Ci sono quattro pannelli principali, ciascuno di circa 1,25 m x 2,5 m, e sette pannelli più piccoli interconnessi. Incontriamo il principe nella prima tela principale. Solo in quella ho contato oltre un centinaio di rose. La Bella Addormentata si trova nell'ultimo pannello.

La rosa canina percorre la sequenza di immagini, dandogli un filo conduttore. È dipinta splendidamente. Burne-Jones scrisse a un amico chiedendogli di inviargli una rosa canina "canuticcia... spessa come un polso e con lunghe e orribili spine... Un metro e mezzo sarebbe sufficiente". Certamente, ha catturato questo aspetto nel quadro finito.

Il dipinto riscosse un enorme successo quando fu esposto per la prima volta nelle gallerie Agnew in Bond Street nel 1890. Successivamente fu esposto a Liverpool e alla Toynbee Hall di Whitechapel, a Londra.

Ci fu "un entusiasmo che sfiorava l'estasi" quando la gente accorse in massa per ammirarlo. Fu poi venduto a Lord Faringdon per essere appeso a Buscot. Quando Burne-Jones soggiornava nelle vicinanze con il suo grande amico William Morris a Kelmscott, andò a trovarlo e rimase deluso dall'aspetto.

Li spostò all'interno della casa e aggiunse i sette pannelli aggiuntivi che ora li uniscono, estendendosi su tre pareti e nei quali continuò il motivo della rosa. Progettò una struttura in legno intagliato e dorato per dare unità alla sequenza.

Di cosa parla questo ciclo? Burne-Jones si riallaccia a un passato pre-industrializzazione. Il mondo è entrato nel sonno in un presente squallido da cui ha bisogno di essere risvegliato.È un sogno – un sogno profondo e bellissimo. E come molti dei nostri sogni più profondi, ha poco senso alla fredda luce del giorno. Il Cavaliere nella tela di "The Briar Wood" appare languido. Non andrà lontano nel tagliare la rosa. Il Re sul suo trono nella sala del consiglio sembra indossare una toga papale. I tessitori sono in una stanza lucidata a specchio e pulita. Motivi cristiani e islamici sono confusi. Dove siamo veramente? È tutta una gloriosa, bellissima assurdità, come il sogno più straordinario.

Il ciclo di dipinti è considerato uno dei massimi successi della pittura vittoriana, ma la sua enorme popolarità fu di breve durata. Gli orrori della Prima Guerra Mondiale non erano lontani, e un quadro con rose e belle ragazze appariva decisamente datato, mentre i nuovi movimenti artistici europei si affermavano nel XX secolo.

Ma negli ultimi 40 anni si è assistito a una rinascita dell'interesse per l'arte tardo-vittoriana. "The Briar Rose" è rifiorito, apprezzato da un nuovo pubblico.


Primo dipinto:









nel “Il principe entra nel bosco” i corpi dei cavalieri giacciono al suolo e si intrecciano a formare un complicato groviglio ondulatorio accompagnato dal ritmo di tralci spinosi, intreccio fitto ed elaborato come quei motivi che impreziosiscono le pagine di un codice antico. Gli scudi penzolano dai rovi sorta di fiori giganteschi e mostruosi.

Secondo dipinto:









nel "Il giardino" I tessitori sono raffigurati addormentati al telaio, con le mura del castello e gli archi di rose sullo sfondo.

Terzo dipinto:









nel “Il re e la corte” tutti sembrano essersi addormentati da poco e pare che basti un nonnulla per risvegliarli. Le rose sono unite a formare delicate ghirlande: una preziosa consolazione contro il tetro diaframma vegetale che separa i dormienti dal resto del mondo.

Quarto dipinto:









Ed ecco finalmente "La bella addormentata". Scrive a proposito Burne-Jones: “Ho voluto fermarmi al punto della storia nella quale la principessa cade addormentata e non dire di più, per lasciare spazio all’invenzione e all’immaginazione della gente e non dire più nulla.” La narrazione, dunque, non include il risveglio della bella principessa.

mercoledì 9 luglio 2025

L'IMPERATRICE E IL POSTINO

Sebbene oggi non se ne parli molto, André Dupont (1742-1817) è un personaggio importante nella storia delle rose. È noto soprattutto per aver venduto rose all'imperatrice Giuseppina.

Gli inizi della carriera di Dupont furono al servizio dell'aristocrazia. Era il maggiordomo capo del Palazzo del Lussemburgo (foto sotto), e si prendeva cura del fratello di Re Luigi XVI. 










Nel XVIII secolo, questa professione presentava un evidente svantaggio: i datori di lavoro venivano decapitati. Ma anche prima della Rivoluzione francese del 1789, servire l'aristocrazia comportava notevoli svantaggi. Erano forse le persone più ricche di Francia, ma potevano impiegare un anno per pagare il personale.

Palazzo del Lussemburgo, Parigi

Dupont era un uomo intelligente. Nel 1780 intraprese un'attività parallela, lavorando alle Poste. Ben presto ottenne una promozione a una posizione di alto livello che gli garantiva un utile vantaggio: la spedizione gratuita. Si potrebbe pensare che non avesse tempo per un orto, ma nel 1785 affittò un appezzamento di terreno vicino al Palazzo per coltivare una nascente passione per il giardinaggio. Durante la Rivoluzione, si dedicò alla cura del giardino, sviluppando un particolare interesse per le rose.

Nel 1796 Dupont decise di fondare un'école de rose, una collezione di tutti gli esemplari conosciuti. Iniziò a sfruttare al meglio le spese di spedizione gratuite, scambiando rose con altri collezionisti e vivaisti nei Paesi Bassi, in Inghilterra e in Italia. La "Belle Sultane" potrebbe essere originaria dei Paesi Bassi e potrebbe essere stata introdotta e resa popolare da lui in questo periodo. (Trovate la storia della rosa "Belle Sultane" in questo post).

Ma iniziò anche a coltivare rose dai semi, creando i suoi semenzali. Questi semi venivano impollinati incrociandosi tramite il vento e gli insetti.

Ibridazione precoce delle rose

La riproduzione sessuata nelle piante era stata riconosciuta fin dalla fine del XVII secolo. Il medico inglese Nehemiah Grew propose per primo una teoria sessuata della riproduzione delle piante nel 1684. Si sa che gli esperimenti di Thomas Fairchild sull'incrocio tra il garofano selvatico e il garofano furono condotti già nel 1717, e Philip Miller descrisse l'impollinazione degli insetti tramite osservazioni sui tulipani prima del 1721. 

Numerosi autori del XX secolo hanno affermato che Dupont fu uno dei primi esponenti dell'arte dell'impollinazione selettiva delle rose a mano. Il suo recente biografo, Vincent Derkenne, esita ad andare così oltre.

Afferma: "A quel tempo i botanici erano interessati solo alle varietà naturali, le rose specifiche. Per loro i fiori erano oggetto di studio e classificazione scientifica. Per Dupont erano anche oggetto di piacere estetico. Fu un pioniere che applicò un approccio scientifico all'ibridazione delle rose, intenzionalmente per il piacere dei proprietari di giardini.

Non sappiamo se praticasse l'impollinazione manuale, ma possiamo affermare con certezza che Dupont seminò semi di rosa e mostrò un particolare interesse per mutazioni e anomalie, correggendone alcune tramite innesto su radici di rosa canina e poi disseminandole. Si guadagnò il rispetto dei colleghi naturalisti del periodo illuminista.

L'imperatrice Giuseppina

Alla fine del XVIII secolo, André Dupont e la sua collezione di rose erano diventati famosi. Così, nel 1799, quando Napoleone e l'imperatrice Giuseppina si trasferirono al Palazzo del Lussemburgo per tre mesi, lei andò senza dubbio a trovarlo. E così ebbe inizio un rapporto molto speciale.

Più tardi, quello stesso anno, mentre suo marito stava tentando di conquistare l'Egitto, andò alla ricerca di una casa e acquistò un castello alla periferia di Parigi, chiamato Malmaison. Giuseppina spese una fortuna per la proprietà (con grande disappunto di Napoleone) e un'altra per ristrutturarla e costruire la sua collezione di piante.









Al ministro degli Esteri di Napoleone, Talleyrand, fu chiesto una volta se Giuseppina avesse intelligenza. Si dice che abbia risposto: "Nessuno ha mai fatto altrettanto brillantemente senza". Crudele e ingiusto. La sua passione per la botanica e la collezione di piante che aveva allestito alla Malmaison testimoniano meglio il suo intelletto.

Aveva delle serre impressionanti alla Malmaison e si divertiva a portare con sé le sue povere dame di compagnia e i cortigiani, introducendoli – o reintroducendoli all’infinito – alle rarità che contenevano.

“Quando il tempo era bello, le serre venivano ispezionate; si faceva la stessa passeggiata ogni giorno; durante il tragitto si parlava degli stessi argomenti; la conversazione generalmente verteva sulla botanica... la sua meravigliosa memoria, che le permetteva di nominare ogni pianta; in breve, le stesse frasi venivano generalmente ripetute più e più volte, e altre circostanze erano, allo stesso tempo, ben calcolate per rendere quelle passeggiate estremamente noiose e faticose.” (Georgette Ducrest, Memorie dell'imperatrice Giuseppina, 1829)

Le rose di Giuseppina

L'interesse di Giuseppina per le piante era molto vasto, ma è soprattutto nota per le sue rose. Nata Marie-Josèphe-Rose Tascher de La Pagerie, fino al suo matrimonio con Napoleone era generalmente conosciuta come "Rosa". Dupont divenne un importante fornitore per lei. Vincent stima che ne acquistò da lui fino a 1500 per la tenuta della Malmaison (anche se i conti mostrano che - indovinate un po'? - ci avrebbe messo almeno un anno per pagare). Forse non possedeva la collezione di rose più completa di Francia, ma era comunque significativa. Nota particolare: il rispettato studioso francese François Joyaux afferma che tutte le sue rose erano coltivate in vaso. Alcune venivano esposte nel parco quando erano in fiore, ma non c'è mai stato un roseto...

Dupont non era il suo unico fornitore. È noto che durante le guerre napoleoniche la Royal Navy bloccò i porti francesi, ma alle navi fu permesso di passare per consegnare rose e altre piante del vivaio Lee & Kennedy di Londra all'Empress for Malmaison. Basti pensare che non riuscì a pagare tutti i suoi conti.

Nel 1803 Giuseppina assunse un talentuoso artista belga per dipingere le sue piante. Il suo nome era Pierre Joseph Redouté. Iniziò a dipingere le rose di Malmaison nel 1813. L'anno successivo Giuseppina morì di polmonite. Redouté continuò a dipingere e produsse tre volumi di incisioni colorate a mano tra il 1817 e il 1824: più di 250 rose.

Tempi duri

L'anno della morte di Giuseppina fu difficile per Dupont anche sotto altri aspetti. A 72 anni, fu costretto a ritirarsi dall'ufficio postale. Scambiò un gruppo della sua école di 537 rose diverse con una piccola pensione statale. Ogni rosa era su radici proprie e raddoppiata con un esemplare innestato su radici di rosa canina. Piantata al Palais du Luxembourg, sotto la cura del suo direttore Julien-Alexandre Hardy (marito di Madame Hardy, da cui la famosa rosa prende il nome), divenne il fondamento di quella che all'epoca era la più grande collezione di rose d'Europa. Si ritiene che una seconda école sia stata in seguito venduta a Louis Claude Noisette per la sua vasta collezione di rose.

Tre anni dopo, Dupont morì. Derkenne riassume così la sua vita: "André Dupont fu il grande precursore dell'importante periodo di ibridazione delle rose che seguì in Francia. Fu un giardiniere sperimentale e un pioniere; collezionò e distribuì rose, le propagò per seme e contribuì a diffondere le rose come piante ornamentali da giardino, ispirando e aiutando altri ibridatori e appassionati in tutta Europa".