Da qualche anno in qua la rosa cinese Moceniga ha goduto di una aumentata popolarità. La sua storia è briosamente raccontata da Andrea di Robilant nel suo libro "Sulle tracce di una rosa perduta". (In questo post riporto parti del libro).
Quando io sono venuta a conoscenza dell'esistenza della Moceniga, questo libro era fuori catalogo, ma sono riuscita comunque a farmi un'idea abbastanza precisa della storia di questa rosa tramite internet. Una volta venuta in possesso di una talea di Moceniga, ho potuto a mia volta duplicarla e ne ho regalato un esemplare ad una cara amica che per riconoscenza mi ha regalato il libro di Robilant, che nel frattempo era stato ristampato.
E ora, libro alla mano, sono in grado di raccontare con maggior precisione la storia della rosa Moceniga.
Tutto ha inizio ad Alvisopoli (VE), un paese "inventato" alla fine del Settecento dal nobile Alvise Mocenigo.
Alvise aveva bonificato una vasta zona di terre paludose appartenenti alla sua famiglia, costruendovi successivamente una comunità agricola e manifatturiera modello, praticamente autosufficiente: case per i contadini, una struttura sanitaria, una scuola e un istituto tecnico d'avanguardia. E come ciliegina sulla torta, a questo paese volle dare il suo nome: Alvisopoli appunto. Durante il periodo napoleonico il paese vide il momento di maggior fioritura, anche se dopo la morte di Alvise pian piano il progetto sfiorì e Alvisopoli divenne un'azienda agricola come tante. Successivamente la famiglia non potè più farsene carico, la terra fu venduta e il paese fu lasciato a se stesso. Solo verso la metà degli anni Ottanta l'ATER di Venezia decise di convertire la villa e gli annessi in case popolari. In una di queste abita Benito Dalla Via con la moglie Giuditta, dalla quale ho acquistato la talea di Moceniga.
Alvise Mocenigo era il quadrisnonno di Andrea di Robilant, il quale, in un viaggio alla ricerca delle sue radici alvisopoliane, conobbe Benito e la rosa Moceniga.
Benito mostrò ad Andrea la rosa che era stata ritrovata nel bosco abbandonato della villa. Ce n'erano diversi arbusti, tutti in fiore nel momento in cui Andrea li vide. Nel libro la descrive così: "Presi in mano una rosa e la osservai attentamente. Aveva un diametro di cinque o sei centimetri. Era di un rosa argentato con leggere venature. I petali, molto chiari al centro, diventavano sempre più colorati verso le estremità, e si staccavano e cadevano al suolo appena li toccavi. Il profumo era forte e molto fruttato. Faceva pensare all'odore di lapone e pesca".
La domanda era: come era finita ad Alvisopoli quella rosa?
Tramite ricerche negli archivi di famiglia, Andrea di Robilant ricostruisce la storia.
La moglie di Alvise Mocenigo, Lucia chiamata da tutti Lucietta, nel 1813 era andata a vivere a Parigi per stare vicina al figlio, Alvisetto, che frequentava un liceo parigino (Napoleone pretendeva che le personalità di spicco nei suoi domini europei mandasero i loro figli maschi a studiare in Francia).
Lucietta (ritratto sopra) conosceva Joséphine, allora già ex-imperatrice, che dopo il divorzio abitava nel castello della Malmaison. Lucietta e Joséphine si erano conosciute nel 1797 a Venezia poco dopo la caduta della Repubblica e l'arrivo dei francesi.
Lucietta si recava spesso alla Malmaison. Joséphine era un'appassionata di piante di ogni genere, per cui il parco e le serre erano piene di specie esotiche, tra cui eriche, piante grasse e pelargonie. Ma la vera passione di Joséphine erano le rose, per le quali aveva sviluppato una vera e propria ossessione. Joséphine aveva mezzi illimitati a disposizione ed era capace di tutto pur di procurarsi una rosa rara che ancora non possedeva.
Il suo fornitore principale era André Dupont (ne ho parlato qui), ma ordinava rose anche all'estero. Joséphine era particolarmente ansiosa di mettere le mani sulle favolose rose che dalla Cina arrivavano in Inghilterra passando da Calcutta, dove le piante venivano fatte riposare in grandi vivai della British East India Company prima di affrontare il lungo viaggio verso l'Europa. Gli inglesi avevano il monopolio dell'importazione di piante dalla Cina, mentre i francesi ne erano stati esclusi causa la bancarotta della Compagnie des Indes. Ciò non impediva a Joséphine di ottenere ciò che desiderava, infatti ottenne vari nullaosta per ricevere piante e semi dall'Inghilterra anche durante il blocco continentale voluto da Napoleone.
Lucietta non aveva lo spirito della collezionista, ma in compagnia di Joséphine sviluppò un interesse per la botanica che non aveva mai mostrato. Fu presentata a René Desfontaines, decano della cattedra di botanica al Jardin des Plantes, e frequentò le sue lezioni. Il capogiardiniere André Thouin le impartiva inoltre lezioni private su come mettere le piante a dimora, sulla preparazione di fertilizzanti naturali e sulle tecniche di potatura. Da Monsieur Dupont invece, Lucietta imparò l'arte dell'innesto. Spesso poi Lucietta si fermava al vivaio di Louis Noisette in rue du Faubourg-Saint-Jacques. Era lo stesso Noisette che qualche anno dopo avrebbe dato vita, con il fratello Philippe, ad un'intera famiglia di rose che portano il loro cognome (vedi il mio post dedicato).
Nella primavera del 1814 l'impero di Napoleone crollò e Alessandro I di Russia occupò Parigi alla testa delle forze alleate. A questo punto non c'era più alcun motivo di tenere Alvisetto in un liceo francese, per cui alla fine di agosto del 1814 Lucietta lasciò Parigi portando con sè una ricchissima collezione che includeva semi, talee e piccole piante di rose, fornite anche da Noisette. La Moceniga era quasi certamente una di quelle che Lucietta riportò da Parigi.
Ma torniamo ai nostri giorni.
La tenuta dei Mocenigo andò in rovina e la villa fu convertita in case popolari. Negli anni Ottanta un giovane studente di scienze forestali dell'Università di Padova, Ivo Simonella (sotto: foto recente), si interessò al bosco di Alvisopoli incuriosito dalla ricchezza e varietà di piante. Scrisse la sua tesi di laurea proprio sugli alberi del parco di Alvisopoli, e convinse il direttore dell'ATER che valeva la pena spendere qualche soldo per sfoltire il bosco e ripulire i canali: il WWF della zona accettò di gestire il parco e di farne uno spazio pubblico. Ciò durò per qualche anno, finchè i fondi si prosciugarono e il WWF fu costretto a rinunciare al progetto. Simonella racconta: "Successe tutto piuttosto in fretta. Un giorno chiusi a chiave il cancello che portava al bosco e me ne andai. Lasciai le chiavi a Benito; avendo lavorato tutta la vita come portiere d'albergo, avrebbe certo saputo cosa farne".
Ma durante il periodo in cui si occupò del bosco, Simonella conobbe un architetto paesaggista della zona di nome Paolo De Rocco. De Rocco aveva il pallino delle rose antiche e fu lui a segnalare a Simonella la presenza della rosa Moceniga.
Osservando la forma del fiore e il portamento dell'arbusto, De Rocco aveva concluso che doveva trattarsi di una rosa cinese di una certa importanza. La associò subito alla "Old Blush", rosa cinese presente in Europa a partire dal 1793, originariamente con il nome di "Parson's Pink China". Oggi la Old Blush è comune in tutto il mondo, ed è molto prolifica in Veneto e Fiuli.
A prima vista la Moceniga e la Old Blush sembrano uguali: i fiori hanno lo stesso colore, la forma dell'arbusto e il portamento sono anch'essi simili. Le foglie sono di un identico verde, le spine rade e opache. Ma osservandole da vicino, De Rocco notò delle differenze: la Moceniga aveva meno petali, e la forma del fiore era più slabbrata. Le foglie erano più ruvide al tatto, più opache. E poi il profumo: blando quello della Old Blush, intenso e fruttato quello della Moceniga.
De Rocco non giunse mai ad una soluzione sulla questione dell'identità della Moceniga, in quanto purtroppo morì prima. Ma Andrea di Robilant venne a conoscenza delle sue ricerche, e decise di far esaminare le due rose (Old Blush e Moceniga) in laboratorio. Si rivolse a Stefano Mancuso, professore di scienze botaniche all'Università di Firenze, il quale propose un esame con il metodo ANN (Artificial Neural Network), in questo caso più efficace e risolutivo dell'esame del dna. Per l'esame servivano le foglie di entrambe le piante, per sottoporle ad un esame comparativo che teneva conto di diciotto parametri morfologici (area, perimetro, rotondità, compattezza, lunghezza assiale, pigmentazione ecc.). Le foglie sarebbero state scannerizzate e i dati analizzati attraverso complicati logaritmi.
Dopo una settimana, arrivò la risposta di Mancuso: "Ti confermo che le due rose sono diverse. Se una delle rose è una Old Blush, allora l'altra certamente non lo è. Di più non posso dirti". Mancuso aveva visto giusto.
A questo punto si era scoperto "cosa non era" la Moceniga. Ma ulteriori ricerche non hanno portato alla scoperta del nome originale della rosa che Lucietta portò a casa da Parigi, probabilmente dal vivaio di Noisette. Purtroppo Noisette aveva la cattiva abitudine di annotare il nome delle sue rose senza aggiungerne le caratteristiche. I suoi cataloghi esistono ancora, ma non è possibile rintracciare una rosa particolare fra le migliaia di nomi dei suoi elenchi.
Alla fine di Robilant decise di registrare il nome della Moceniga. Scrisse a Marily Williams, copresidente dell'American Rose Society, l'organizzazione che gestisce il registro ufficiale delle rose per conto dell'International Cultivar Registration Authority (ICRA). La sua prima risposta fu però negativa:
"La rosa rientra nella categoria che noi chiamiamo rose «ritrovate». Queste rose non possono essere registrate ufficialmente perchè, anche se lei non è finora riuscito a identificarla, non possiamo escludere che non ci siano da qualche parte documenti che permettano di farlo".
In seguito, aggiornata sulle ulteriori ricerche di Robilant, la signora Williams scrisse finalmente così:
"Caro Andrea, mi sembra di capire che lei abbia fatto delle serie ricerche, senza tuttavia arrivare a un buon esito per quanto riguarda l'identificazione della sua rosa. In tali circostanze non dovremmo procedere alla registrazione di tale rosa, ma ritengo che il suo caso sia insolito. Per cui ho deciso di appoggiare la registrazione del suo cultivar."
Il nome registrato è "Moceniga" (non Rosa Moceniga, in quanto il nome di un cultivar non può includere il nome del genere, in questo caso Rosa).
Sono fortunata ad avere questa rosa nel mio roseto: la considero la regina del mio giardino, in quanto è la prima a fiorire (già a marzo) e questa prima fioritura è molto prolungata, spettacolare. Ed è pure l'ultima a fiorire, fino a novembre.
Posso testimoniare che si riproduce facilmente tramite talea, infatti ne ho diverse piante pronte se qualcuno decide di volerla.